Giovanni Boccaccio, (Certaldo o forse Firenze, giugno o luglio 1313 – Certaldo, 21 dicembre 1375 è stato uno scrittore e poeta italiano.
Conosciuto anche per antonomasia come il Certaldese, fu una delle figure più importanti nel panorama letterario europeo del XIV secolo. Alcuni studiosi (tra i quali Vittore Branca) lo definiscono come il maggior prosatore europeo del suo tempo, uno scrittore versatile che amalgamò tendenze e generi letterari diversi facendoli confluire in opere originali, grazie a un'attività creativa esercitata all'insegna dello sperimentalismo.
Boccaccio, insieme a Dante Alighieri e Francesco Petrarca, fa parte delle cosiddette «Tre corone» della letteratura italiana. È inoltre ricordato per essere uno dei precursori dell'umanesimo, del quale contribuì a gettare le basi presso la città di Firenze, in concomitanza con l'attività del suo contemporaneo amico e maestro Petrarca. Fu anche colui che diede inizio alla critica e filologia dantesca, dedicandosi a ricopiare codici della Divina Commedia e fu anche un promotore dell'opera e della figura di Dante.
Giovanni Boccaccio cercò di essere un erudito a tutto tondo, conoscitore dei classici e di autori antichi e moderni, sperimentando i generi letterati più diversi.
è figlio illegittimo di un mercante e, per seguire suo padre, già a quattordici anni si trasferisce a Napoli. Rifiutando di seguire il mestiere paterno frequenta invece la vivace corte angioina le cui porte si aprono facilmente grazie al prestigio del suo nome: si dedica a divertimenti mondani, ai primi amori (Dante aveva Beatrice, Petrarca Laura e Boccaccio la sua donna Fiammetta), e conosce con entusiasmo i romanzi francesi, la poesia provenzale e fiorentina.
È in questi anni che cresce in lui la voglia di riportare in lingua volgare fiorentina la materia tratta dai romanzi francesi e da quelli latini, di parlare dei suoi amori giovanili creando una letteratura di intrattenimento per un pubblico aristocratico e soprattutto femminile.
Nel 1340, con il fallimento della compagnia dei Bardi e l’inasprirsi dei rapporti tra Napoli e Firenze, è costretto a tornare in Toscana.
Si apre un periodo difficile per Boccaccio: a causa delle ristrettezze economiche, cerca una nuova corte intorno a cui orbitare ma saranno tutti sforzi vani, e presto, in aggiunta a questo disagio, perde anche il padre durante la tragica peste del 1348.
In questi anni, tuttavia, avviene in lui un graduale distacco dalla letteratura cortese, un avvicinamento alla narrativa realistica e popolareggiante che raggiungerà il suo apice nella stesura del Decameron, composto fra 1349 e 1353. L’opera ebbe un immediato successo, e questo garantì all'autore incarichi pubblici e ambascerie per il comune di Firenze, non ancora sufficienti, però, a procurargli l’indipendenza economica per dedicarsi esclusivamente agli studi.
Nel frattempo Giovanni Boccaccio si lega in amicizia a Petrarca, divenuto per lui emblema di letterato e intellettuale, e grazie a lui si distacca dalla produzione in volgare per dedicarsi in modo esclusivo allo studio dei classici; fonderà a Firenze un circolo di umanisti filologi, promuovendo l’insegnamento del greco, e sarà preso da scrupoli religiosi che pare lo abbiano indotto addirittura a voler bruciare il Decameron.
Nel 1365 Boccaccio scrive il Corbaccio, che rappresenta un brusco cambiamento rispetto a tutta la sua letteratura precedente: in quest’opera la simpatia e l’antica ammirazione per le donne si trasformano in una aperta misoginia.
Nel 1373 riceve dal comune di Firenze l’incarico di leggere e commentare in pubblico la Commedia (come studioso e umanista Boccaccio è uno dei primissimi commentatori della Commedia di Dante, attività questa che impegnerà un grande numero di letterati fino ai nostri giorni).
Opere minori di Giovanni Boccaccio
Giovanni Boccaccio scrisse quando ancora si trovava nel confortevole e stimolante ambiente della corte angioina. Questi testi rappresentano non solo i suoi primi interessi letterari ma la base di un pensiero, che caratterizzerà, la poetica di Boccaccio.
Filostrato
Composto circa nel 1335, è un poema in ottave ispirato al ciclo troiano, uno dei repertori di storie di cavalleria a cui attingevano i romanzi francesi tanto amati da Boccaccio. Troviamo raccontata la storia d’amore infelice di Troiolo, figlio del re di Troia Priamo, che abbandonato dall’amata Criseide finirà con l’essere ucciso da Achille.
La vicenda sentimentale sovrasta senza dubbio quella bellica: c’è pochissimo spazio per il racconto di battaglie e lotte di potere perché tutto si concentra sulla rappresentazione dei tormenti amorosi del protagonista attraverso il quale Boccaccio parla dei suoi stessi tormenti e dei suoi primi amori.
Filocolo
Scritto fra il 1336 e il 1339, è l'opera che meglio rispecchia l’atteggiamento sperimentale di Giovanni Boccaccio. Riprende una storia famosissima ai suoi tempi, quella di Florio e Biancifiore, e cioè una leggenda di origine francese che circola largamente anche in Italia attraverso i cantari, molto amata dal pubblico sia colto che cortese.
A differenza del Filostrato quest’opera è in prosa e narra l’amore fra i due protagonisti, vicini fin dall’infanzia, e ostacolati dal padre di lei nel coronamento del loro sogno d’amore che avverrà nel lieto fine di quest’opera. La dedica del componimento è per Fiammetta e Boccaccio sperimenta qui una lingua latineggiante: sono presenti latinismi e la sintassi viene elaborata su modello di quella latina, elegantissima, ricca di frasi subordinate che rendono la trama coinvolgente.
Teseida
Boccaccio riprende dei temi antecedenti derivati stavolta da materiale classico, e in particolare dalla Tebaide di Stazio.
Composto fra il 1339 e il 1340 affronta l'innamoramento di due ragazzi tebani (Arcita e Palemone) per la bella Emilia, cognata di Teseo, e sullo sfondo della guerra di quest’ultimo contro le amazzoni.
Di nuovo Boccaccio preferisce dedicarsi alla tematica amorosa piuttosto che a quella guerresca che funge, come al solito, solo da cornice. Arcita, il primo a spostare Emilia, muore in duello e come ultima volontà, chiede che sia il suo amico Palemone a convolare a nozze con la sua donna dopo la dipartita.
Il Decameron, il capolavoro di Boccaccio
Il Decameron composta fra il 1349 e il 1353 (alcune delle novelle che lo compongono circolarono indipendentemente prima di essere sistemate in via definitiva nel lavoro completo), è un assoluto capolavoro e un punto di riferimento per tutta la letteratura umanistica in prosa successiva.
Oltre ai racconti, che rappresenteranno per gli scrittori successivi una prestigiosa fonte cui attingere, l’opera diviene un esempio per l’ideale di vita degli umanisti, il ritiro in campagna per godere solo dei piaceri della letteratura, saranno punti cardine delle filosofie umanistiche.
Struttura, cornici e giornate
Dieci protagonisti, dieci giornate, cento novelle.
La struttura del Decameron di Giovanni Boccaccio risponde all’esigenza di autori e pubblico medievale di vedere organizzata la narrazione in modo coerente e ordinato in un quadro completo e rispondente alla perfezione numerica. Entro una “cornice” narrativa di partenza si articolano le sottocornici narrative rappresentate dalle trame di ognuna delle cento novelle che compongono il Decameron. Prima cornice narrativa sarebbe, cioè, la storia dei dieci giovani (la brigata, come la chiama Boccaccio) che, per sfuggire alla peste del 1348, decidono di rifugiarsi in una villa in campagna, lontani dalla città e dal morbo, e di intrattenersi raccontandosi a vicenda dieci novelle al giorno, una per ogni componente del gruppo, e per un totale di 10 giorni sui 14 che passano insieme (il titolo Decameron fa riferimento proprio alle “dieci giornate”). Ogni novella raccontata ha, ovviamente, una sua trama, e questa rappresenta la sottocornice dell’opera. Il tema di ogni novella viene scelto, a turno, dal giovane che in quella precisa giornata è il re o la regina del giorno.
Tematiche
La dedica alle donne: la letteratura come evasione Il pretesto da cui Boccaccio prende le mosse per la composizione del suo Decameron è la volontà di compiacere le donne per distrarle nel momento dei tormenti amorosi: le donne, infatti, a differenza degli uomini non possono concedersi molti svaghi e hanno solo la letteratura come luogo privilegiato di distrazione e divertimento.
Boccaccio tiene molto alle donne, ai loro sentimenti, e vuole divertirle e istruirle con quest’opera.
I temi principali sono:
- Confronto fra bene e male: c’è un crescendo dalle novelle iniziali che espongono i pericoli e le tentazioni cui si incombe attraverso i vizi fino alle novelle che celebrano la virtù e il retto vivere.
- Fortuna e Natura sono i due poli entro cui oscilla la vita umana: la Fortuna è la sorte esterna, la Natura è l’animo interno di ogni uomo. Per vivere dobbiamo assecondare e saper gestire queste due diverse influenze.
- Erotico-amorosa: l’amore e il desiderio sessuale sono strettamente correlati e vengono affrontati in modi molto diversi, dalla passione genuina e distruttiva a quella più bassa e volgare, fino ad arrivare anche al tema della beffa in cui spesso cadono i personaggi in cerca di una compagna.
Nel far questo Boccaccio rappresenta attentamente la società a lui contemporanea, soprattutto la civiltà cittadina borghese e mercantesca di cui critica la furbizia e il marcato opportunismo. Insomma, ce ne è davvero per tutti i gusti e per ogni argomento in quest’opera: non stupisce che sia divenuta un modello di tanta letteratura successiva. Boccaccio sia stato un esempio per grandissima parte della letteratura Trecentesca e Quattrocentesca.
Il 1300 e l'ammirazione per Petrarca
Petrarca fu una figura fondamentale per l'evoluzione intellettuale del Boccaccio, conducendolo alla comprensione del suo rivoluzionario programma culturale.
Boccaccio sentì parlare di Petrarca di giovane prodigioso residente ad Avignone, già durante il soggiorno napoletano: grazie a padre Dionigi da Borgo Sansepolcro.
Ritornato a Firenze, la conoscenza con Sennuccio del Bene e altri ammiratori fiorentini contribuirono nell'animo del Certaldese a rinsaldare quella che inizialmente era una curiosa attenzione, fino a farla diventare una passione viscerale nei confronti di quest'uomo che, pudico, austero e grande poeta, avrebbe potuto risollevare il Boccaccio dallo stato di decadenza morale in cui versava.
In questo decennio Boccaccio realizzò alcune composizioni celebrative di Petrarca: la Mavortis Milex del 1339, elogio nei confronti della persona di Petrarca, capace di salvarlo dalla sua degradazione morale;
il Notamentum, scritto dopo il 1341 col fine di celebrare Petrarca come il primo poeta laureato a Roma dopo Stazio, come Virgilio redivivo, come filosofo morale alla pari di Cicerone e di Seneca;
infine la De vita et moribus domini Francisci Petracchi, scritta prima del 1350, un vero e proprio tentativo di «canonizzazione» dell'Aretino. Grazie alla frequentazione degli amici fiorentini del Petrarca, Boccaccio poté raccogliere nella sua “antologia petrarchesca” i carmi che quest'ultimo scambiava con i suoi discepoli, cercando così di appropriarsi della cultura che tanto ammirava.
L'incontro con Petrarca nel 1350
L'incontro di persona con il grande poeta laureato avvenne quando egli, in occasione del Giubileo del 1350, si accinse a lasciare Valchiusa, dove si era rifugiato a causa della grande peste, per andare a Roma.
Lungo il tragitto Petrarca, d'accordo con il circolo degli amici fiorentini, decise di fermarsi per tre giorni a Firenze a leggere e spiegare le sue opere.
Dal 1350 in avanti nasce un rapporto profondo tra Boccaccio e Petrarca, che si concretizzerà negli incontri degli anni successivi, durante i quali avvenne gradualmente.
Prima dell'incontro con Petrarca Boccaccio continuava a vedere i classici nell'ottica della salvezza cristiana. I vari incontri con il poeta laureato, permisero a Boccaccio di sorpassare la mentalità medievale e di abbracciare il nascente umanesimo.
Nel giro di un quinquennio Boccaccio poté avvicinarsi alla mentalità di colui che diverrà il suo praeceptor, constatando l'indifferenza che questi nutriva per Dante.
Gli anni dell'impegno (1350-1365)
Tra l'agosto e il settembre del 1350, Boccaccio fu inviato a Ravenna per portare a Suor Beatrice, la figlia di Dante, 10 fiorini d'oro a nome dei capitani della compagnia di Orsanmichele, durante la tale ambasceria avrà probabilmente raccolto informazioni riguardanti l'amato poeta.
Nel 1351, la Signoria incaricò sempre Boccaccio di una triplice missione:
- convincere Petrarca, che nel frattempo si trovava a Padova, a stabilirsi a Firenze per insegnare nel neonato Studium;
- stipulare con Ludovico di Baviera, marchese del Brandeburgo, un'alleanza contro le mire espansionistiche di Giovanni Visconti (dicembre 1351-gennaio 1352);
- convincere Giovanna I di Napoli a lasciare Prato sotto la giurisdizione fiorentina
La momentanea caduta in disgrazia
L'anno 1360 segnò una svolta nella vita sociale del Boccaccio. In quell'anno, infatti, durante le elezioni dei priori della Signoria fu scoperta una congiura alla quale parteciparono persone vicine allo stesso Boccaccio. Benché fosse estraneo al tentato colpo di Stato, Boccaccio fu malvisto da parte delle autorità politiche fiorentine, tanto che fino al 1365 non partecipò a missioni diplomatiche o a incarichi politici.
Boccaccio umanista e Leonzio Pilato
Nel corso degli anni cinquanta, mentre avanzava nella conoscenza della nuova metodologia umanistica, Boccaccio si accinse a scrivere cinque opere in lingua latina, frutto del continuo studio sui codici dei classici. Tre di queste hanno un carattere erudito (la Genealogia deorum gentilium, il De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam in Oceano noviter repertis e il De montibus).
Le restanti (il De Casibus e il De mulieribus claris) hanno un sapore divulgativo.
Uno dei più grandi meriti del Boccaccio per la diffusione della cultura umanistica fu l'interesse dimostrato nei confronti del monaco calabrese Leonzio Pilato, esperto conoscitore del greco di cui Petrarca parlò all'amico fiorentino. Ottenuto da parte della Signoria fiorentina che Pilato venisse accolto nello Studium come insegnante di greco, Boccaccio ospitò a sue spese il monaco e La convivenza si rivelò proficua per l'apprendimento del greco da parte del Certaldese.
A Firenze Pilato tradusse i primi cinque libri dell'Iliade e l'Odissea (oltre a commentare Aristotele ed Euripide) e realizzò due codici di entrambe le opere, che Boccaccio inviò al Petrarca (1365).
Il periodo fiorentino-certaldese (1363-1375)
Il periodo che va dal 1363 all'anno della morte (1375) viene denominato «periodo fiorentino-certaldese»: infatti, l'autore del Decameron comincerà sempre più a risiedere a Certaldo, nonostante i maggiorenti fiorentini avessero deciso di reintegrarlo nei pubblici uffici, inviandolo come in passato in missioni diplomatiche.
A partire dal 1363, infatti, Boccaccio risiedette per più di dieci mesi nella cittadina toscana, dalla quale sempre più raramente si mosse anche a causa della salute declinante (negli ultimi anni fu afflitto dalla gotta, dalla scabbia e dall'idropisia). Gli unici viaggi che avrebbe compiuto sarebbero stati per rivedere il Petrarca, alcune missioni diplomatiche per conto di Firenze, oppure per ritentare la fortuna presso l'amata Napoli.
Oltre alla decadenza fisica, si aggiunse anche uno stato di abbattimento psicologico: nel 1362 il monaco certosino (e poi beato) Pietro Petroni rimproverò lui e Petrarca di dedicarsi ai piaceri mondani quali la letteratura, critica che toccò nel profondo l'animo di Boccaccio, tanto che questi pensò addirittura di bruciare i propri libri e rinunziare agli studi, vendendo al Petrarca la propria biblioteca.
La riabilitazione pubblica
Nel 1365 Boccaccio venne messo a capo di una missione diplomatica presso la corte papale di Avignone. In quella città il Certaldese doveva ribadire la lealtà dei fiorentini al papa Urbano V contro le ingerenze dell'imperatore Carlo IV di Lussemburgo. Nel 1367 Boccaccio andò a Roma per congratularsi del ritorno del papa nella sua sede diocesana.
Il circolo di Santo Spirito e l'autorità di Boccaccio
La basilica di Santo Spirito, coll'annesso convento agostiniano, negli ultimi anni del Boccaccio fu luogo d'incontro tra i vari intellettuali vicini alla sensibilità umanistica. Ospitò anche la cosiddetta «Parva libreria», cioè l'insieme dei libri che Boccaccio donò a Martino da Signa, in base alle sue volontà testamentarie.
Gli anni successivi videro sempre più un rallentamento dei viaggi del Boccaccio: nel 1368 incontrò per l'ultima volta l'amico Petrarca, ormai stabile ad Arquà; tra il 1370 e il 1371 fu a Napoli, città in cui decise sorprendentemente di non fermarsi più a risiedere per l'età avanzata e la salute sempre più malandata
Gli ultimi anni
A fianco della produzione umanistica, Boccaccio continuò a coltivare il suo amore per la poesia volgare, specie per Dante. Preparò un'edizione manoscritta della Divina Commedia, correggendone criticamente il testo, e scrisse il Trattatello in laude di Dante, realizzato in più redazioni tra il 1357 e il 1362. Nonostante le malattie si facessero sempre più gravi, accettò un ultimo incarico dal Comune di Firenze, iniziando una lettura pubblica della Commedia dantesca nella Badia Fiorentina, interrotta al canto XVII dell'Inferno a causa del tracollo fisico.
La morte e la sepoltura
Gli ultimi mesi passarono tra le sofferenze fisiche e il dolore per la perdita dell'amico Petrarca, morto tra il 18 e il 19 luglio del 1374. A testimonianza di questo dolore abbiamo l'Epistola XXIV indirizzata al genero dello scomparso Francescuolo da Brossano, in cui il poeta rinnova l'amicizia con il poeta laureato, sentimento che si protrarrà oltre alla morte.
Infine, il 21 dicembre 1375 Boccaccio spirò nella sua casa di Certaldo. Pianto sinceramente dai suoi contemporanei o discepoli (Franco Sacchetti[87], Coluccio Salutati[88]) e dai suoi amici (Donato degli Albanzani, Francescuolo da Brossano, genero di Petrarca), Boccaccio fu sepolto con tutti gli onori nella chiesa dei Santi Iacopo e Filippo. Sulla sua tomba volle che venisse ricordata la sua passione dominante per la poesia, con la seguente iscrizione funebre:
«Sotto questa lastra giacciono le ceneri e le ossa di Giovanni:La mente si pone davanti a Dio, ornata dai meriti delle fatiche della vita mortale.Boccaccio gli fu genitore, Certaldo la patria, amore l’alma poesia.»